Riforma PA, Madia accelera: riordino servizi pubblici locali e partecipate in un testo unico
Fonte: comuni.it
Il testo unico di riordino della materia dei servizi pubblici locali e delle società partecipate sarà effettivo entro la fine del 2015: lo ha annunciato il ministro della PA Marianna Madia durante il convegno romano di presentazione di Utilitalia, la nuova sigla che riunirà sotto una sola insegna le imprese dell’acqua, dell’energia e dei rifiuti.
Il pacchetto Partecipate e Servizi Pubblici Locali fa parte della Riforma PA (ddl Madia), che secondo le volontà del Governo sarà operativa a breve, visto che si stanno già scrivendo i decreti legislativi (ma parliamo di un ddl in pending da quasi due anni…).
Secondo Madia, “la gestione delle partecipate ha portato problemi finora anche perché manca un quadro regolatorio che garantisca chiarezza“. L’intervento in arrivo, allora, prevede il varo di “un testo unico finalmente chiaro, che assicuri trasparenza, certezze e faccia ripartire gli investimenti. Lo stiamo già scrivendo, lo porterò in Consiglio dei ministri per una prima lettura subito dopo l’approvazione del disegno di legge delega. Comunque, abbiamo intenzione di completarlo entro l’anno“.
Come funzioneranno i servizi pubblici locali
Il testo sarà sottoposto alla visione di Utilitalia, presieduta da Giovanni Valotti, la quale unisce Federutility e Federambiente, creando un soggetto di rappresentanza unitario nel settore dei servizi pubblici. Secondo Vallotti, un passo deciso servirebbe nel campo dei rifiuti, da affidare “a un regolatore indipendente“, per definire metodologie tariffarie, regole di rendicontazione e disciplinare i contratti di servizio.
Anche se il presidente dell’Autorità per l’Energia, il gas e sistema idrico Guido Bortoni, che dovrebbe prendersi in carico l’incombenza, ha precisato che “è giusto che i servizi con un’importanza di carattere nazionale abbiano un regolatore unico, ma questo deve essere accompagnato dall’attribuzione all’Autorità di nuove risorse“.
Riduzione partecipate
Secondo Marianna Madia la riduzione delle società partecipate è anche un problema organizzativo, non solo numerico. “Dobbiamo partire dalle caratteristiche delle società. Le quotate, ad esempio, fanno storia a sé, così come dobbiamo distinguere le partecipazioni strumentali all’attività della PA e quelle che, invece, sono nate per fornire servizi ai cittadini. Soprattutto per queste ultime dovremo superare la parcellizzazione“.
Pubblica Amministrazione Madia: Consultazione su decreti attuativi. Approvazione riforma P. A. entro l’anno
Fonte: rainews.it
Secondo il ministro della funzione pubblica: “L’approvazione del ddl se non sarà prima della pausa estiva sarà subito dopo. Quello che conta è che stiamo già scrivendo i decreti legislativi”
P.A., Madia: “Riaprire blocco contratti”. Usb consegna un pinocchio al ministro Province, il ministro Madia alle Regioni: ricollochino il personale o lo farà lo Stato Dipendenti Province a rischio stipendio, Madia: “Allarme Cgil infondato” 16 giugno 2015
Il governo avvierà una “consultazione pubblica” prima di approvare i decreti attuativi del ddl delega sulla riforma della pubblica amministrazione. Lo ha detto il ministro della funzione pubblica Marianna Madia a un convegno per la presentazione di Utilitalia. I provvedimenti, ha sottolineato Madia, li “condivideremo con gli attori interessati prima di portarli in consiglio dei ministri”. Per l’approvazione del ddl, ha aggiunto il ministro, “se non sarà prima della pausa estiva sarà subito dopo. Quello che conta è che stiamo già scrivendo i decreti legislativi, quindi manteniamo l’impegno di avere l’approvazione definitiva anche delle parti attuative entro quest’anno. È l’impegno preso nel piano nazionale delle riforme”. –
Riforma senza regole. E’ caos nella Pubblica Amministrazione
L’effetto immediato della riforma della pubblica amministrazione è la precarizzazione della dirigenza pubblica, che secondo quanto disposto dall’art. 9 sarà assoggettata al regime degli incarichi a termine,
fonte: leggioggi.it
L’effetto immediato della riforma della pubblica amministrazione scaturente dal disegno di legge n. 1577 approvato di recente dal Senato è la precarizzazione della dirigenza pubblica, che secondo quanto disposto dall’art. 9 sarà assoggettata al regime degli incarichi a termine, per un quadriennio prorogabile per ulteriori due anni, allo scopo di modernizzare il settore pubblico secondo quanto dichiarato dal Governo che ha proposto la riforma.
L’istituzione del ruolo unico della dirigenza pubblica “di ruolo” distinta in dirigenza statale, regionale e degli enti locali, comporterà l’inserimento dei dirigenti nell’unico calderone di settore e l’appiattimento delle loro posizioni dando così alle amministrazioni interessate la possibilità di attingere dallo stesso, a seguito di una procedura ancora da definire nei dettagli, per la scelta dei dirigenti da incaricare. Nello stesso tempo è prevista la possibilità per le amministrazioni pubbliche di conferire gli incarichi dirigenziali a personale non di ruolo pur nel limite di una contenuta percentuale.
Per i segretari comunali e provinciali è stata addirittura prevista l’abolizione della figura con la conseguente attribuzione delle corrispondenti funzioni ad una figura di nuova creazione “il dirigente apicale” con compiti di attuazione dell’indirizzo politico amministrativo, che non dovrà necessariamente coincidere, fatta eccezione per un ristretto periodo temporale non superiore a tre anni dal decreto legislativo di attuazione della delega, con il personale già appartenente alla carriera della soppressa figura. Ciò comporterà la possibilità per le amministrazioni pubbliche di scegliere i propri dirigenti, compresi quelli che non hanno compiti di attuazione dell’indirizzo politico amministrativo, dal ruolo unico e dunque anche tra coloro già appartenenti al ruolo dei segretari degli enti locali.
Sull’argomento si sono subito registrate le proteste dei dirigenti pubblici e dei segretari degli enti locali in particolare, i quali hanno letto nel disegno di legge l’affermazione del principio di licenziabilità dei dirigenti pubblici attraverso il meccanismo della cancellazione dal ruolo unico decorso un periodo temporale, ancora da stabilire, senza che sia intervenuto l’incarico ad opera del vertice politico delle amministrazioni pubbliche.
Una vera dirompente riforma dunque che potrebbe mandare a casa centinaia di dirigenti pubblici colpevoli solo del fatto di non essere stati scelti dai vertici politici pur senza alcuna plausibile giustificazione.
Le argomentazioni a favore della riforma portate avanti dal Governo non rendono ragione ad un sistema che, nell’ottica di un cambiamento da effettuare a tutti i costi per salvare l’immagine dell’Italia di fronte all’Europa, non si cura nemmeno di comprovare il rispetto dei principi cardine sui quali poggia l’intero impianto costituzionale vigente, che ha il suo fondamento negli articoli 97 e 98 della Costituzione repubblicana. L’enunciazione dei principi di buon andamento e imparzialità delle amministrazioni pubbliche nonché quello che i pubblici impiegati sono ad esclusivo servizio della nazione, cede così il passo ad altri valori che non trovano riscontro nella Carta fondamentale italiana e che si conciliano semmai con altri sistemi organizzativi basati su modelli di governance aventi il loro fulcro nel ruolo centrale assunto dal vertice politico.
Se dunque l’Italia adotta un nuovo modello di governance a costituzione invariata, appare ovvia la scissione tra il dato di fatto, voluto dai rappresentanti politici senza peraltro tenere conto delle esigenze provenienti dalla base elettorale, e quello di diritto che esprime la radice profondamente democratica e partecipativa delle sue istituzioni.
Secondo le dichiarazioni del Governo si volta pagina, in realtà però non si comprende quale coerenza possa esservi tra il convulso andare avanti del Premier e il sistema politico basato ancora sulla rappresentanza democratica.
A ciò va aggiunto che la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato dei dirigenti pubblici in incarichi a termine non facilita la lettura della riforma ma conferma la sensazione che essa si basi più sul sentimento estemporaneo di chi ha assunto il potere senza alcuna reale democratica investitura che non su una coerente e sistematica logica ordinamentale. I rischi di incostituzionalità sono allora alle porte.
INAIL
Inail: spot in TV e App Facebook
FONTE: PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.NET
La nuova campagna di comunicazione promossa dall’Inail per far conoscere “le qualità e il valore della PA italiana”.
Ha preso il via il 14 giugno la nuova campagna di comunicazione lanciata dall’Inail in televisione (e sul Web), mirata a far conoscere le attività e l’impegno dell’Istituto e delle sue risorse umane.
Finalità dello spot è fornire una rappresentazione esaustiva del ruolo che l’Inail svolge per il welfare italiano, veicolando valori, novità e obiettivi, raccontando ai cittadini “le qualità e il valore della PA italiana”.
«Si tratta di un progetto finalizzato a fornire all’esterno una rappresentazione chiara, semplice ed efficace della identità dell’Inail in particolare così come maturata a seguito dei più recenti interventi normativi ed organizzativi.»
Queste le parole di Mario Recupero, responsabile del servizio Comunicazione Inail, che conferma la sua presenza su vari canali social, Facebook, Youtube, Twitter e Linkedin, dove viene condivisa la campagna di comunicazione “on-air” fino alla fine di luglio.
A partire da luglio, inoltre, sarà disponibile una apposita App Facebook (“Il mondo Inail”) nata al fine di consolidare il messaggio veicolato dall’Inail e attirare l’attenzione degli utenti. La App è personalizzabile e sarà riadattata in occasione delle nuove campagne promosse dall’Istituto.
«La App ‘Il mondo Inail’ – prosegue Recupero – consentirà, in primo luogo, di estendere la platea di destinatari, raggiungendo con facilità i “frequentatori” abituali dei vari social network, in prevalenza giovani, innescando quel meccanismo di ‘viralità’ che amplifica la portata del messaggio e contribuendo, così, a rafforzare l’identità del ‘brand’ Inail. Inoltre, permetterà di dare continuità al messaggio veicolato dallo spot, coinvolgendo gli utenti in maniera più attiva e consentendo loro di esplorare il mondo dei servizi dell’Istituto in modo più leggero e innovativo.»
SENTENZE CASSAZIONE – CONCORSI PUBBLICI
Stop concorsi truccati: risarcimento se il cv è superiore agli altri
fonte: leggepertutti.it
L’ente che non affida l’incarico al candidato con il curriculum vitae migliore di tutti gli altri, deve pagare il risarcimento del danno comprensivo del lucro cessante e danno emergente.
Gare, concorsi e bandi pubblici: “Inutile partecipare, tanto vincono sempre i soliti noti, figli di papà!”; chissà quante volte abbiamo sentito, in occasione di un bando, questa esclamazione arrendevole e quante altre, demoralizzati, abbiamo evitato noi stessi di concorrere e, addirittura, di spendere sia pure 4 euro per la raccomandata contenente la nostra candidatura e il curriculum. Ma una sentenza di oggi della Cassazione [Cass. sent. n. 11794/15 del 17.06.2015.] accende un barlume di speranza a chi si sente un “perfetto sconosciuto” e tuttavia vanti un cv inattaccabile. Secondo la Suprema Corte chi non ottiene l’incarico pubblico nonostante il proprio curriculum sia nettamente superiore a quello degli altri partecipanti alla gara deve essere risarcito sia per il danno emergente (ossia per quanto speso per prepararsi alla gara) che per il lucro cessante (ossia per il mancato guadagno che avrebbe invece conseguito se avesse ottenuto l’incarico). Trattandosi di controversie con la pubblica amministrazione sarà necessario presentare ricorso al Tar, chiedendo al giudice di annullare la delibera di affidamento dell’incarico. A tal fine dovrà essere nominato un commissario [Cosiddetto “Commissario ad acta”.] per la valutazione dei titoli dei vari concorrenti alla gara. In questi casi, la P.A. può essere condannata per via della responsabilità che consegue in caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica: il che si configura in caso di un comportamento dannoso per l’ordinamento e per la stessa collettività. Il candidato, infatti, non ha un diritto soggettivo ad essere scelto, ma vanta un interesse legittimo a che l’amministrazione agisca nell’interesse di tutta la cittadinanza e in rispetto della Costituzione [ Art. 97 Cost.]. La nostra Carta fondamentale impone il buon andamento della P.A.: pertanto, proprio ai fini dell’efficienza dell’operato dell’amministrazione e del buon funzionamento degli apparati pubblici (interesse, appunto di tutti), è necessario scegliere sempre il miglior candidato in concorso. La Suprema Corte ha comunque evidenziato come “a fronte di una prospettata lesione di un interesse legittimo legato al regolare svolgimento di una gara occorre comunque valutare, in caso di regolare andamento della gara, quali sarebbero state le reali possibilità di successo di chi agisce per il risarcimento. Insomma, non a tutti è dato ricorrere, ma solo a chi poteva davvero vincere il concorso. Quest’ultimo ha diritto all’integrale risarcimento dei danni subiti, a fronte della colpa dell’amministrazione nel preferirgli un altro concorrente, qualora risulti accertato che se la gara si fosse svolta regolarmente egli ne sarebbe risultato vincitore. Nella quantificazione del danno il giudice dovrà tener conto di tutte le circostanze del caso concreto nel liquidare sia il danno emergente che il lucro cessante (quali le spese sostenute per partecipare alla gara, il mancato guadagno per non aver potuto svolgere l’attività professionale, il mancato incremento del curriculum professionale).
MALATTIA E FERIE
Malattia del lavoratore durante le ferie
Fonte: leggepertutti.it
Il datore di lavoro può inviare il medico fiscale e chiedere che la visita verifichi la compatibilità della malattia con le ferie e se lo stato di malattia è tale da consentire la sospensione delle ferie stesse.
Dopo un anno d’ininterrotto servizio, il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuito: è quanto prescrive il codice civile [1]. Tuttavia, in caso di malattia durante tale periodo, il decorso delle ferie si sospende: detto principio è stato fissato dalla Corte Costituzionale [2]. La stessa Corte Costituzionale ha chiarito che, in caso di cure idrotermali, le ferie si sospendono quando, a causa della specificità e/o gravità della malattia e/o delle modalità del trattamento terapeutico o riabilitativo, l’essenziale funzione di relax e distrazione, tipica delle ferie, è pregiudicata [3]. Se però la malattia insorge prima dell’inizio delle ferie, essa non dà luogo al decorso delle ferie.
Certificato e visita medica fiscale
Come nella generalità dei casi, il lavoratore in ferie che si ammali è tenuto a sottoporsi tempestivamente a visita medica (cosiddetta visita fiscale), inviando (ove non sia rilasciata la certificazione telematica) il certificato corredato dall’indirizzo presso cui egli è reperibile e ove sono effettuabili le visite. L’omessa comunicazione esclude il diritto al recupero delle ferie non godute a causa della malattia, fino al momento dell’avvenuta comunicazione [4]. In assenza di una disposizione normativa, e in base a quanto prescritto Corte Costituzionale [5], è comunque necessario fare riferimento alle previsioni del contratto collettivo che regola il rapporto. Secondo la Cassazione [6], non è legittimo subordinare l’effetto sospensivo della malattia sulle ferie a una durata minima della patologia (in buona sostanza, sarebbe illegittimo, per esempio, il contratto collettivo che stabilisca che solo le patologie con durata superiore a 3 giorni sospendono le ferie, mentre per le altre invece continuano a decorrere i giorni di ferie, benché il lavoratore sia ammalato. Stesso discorso vale per il ricovero ospedaliero, a prescindere dal fatto che si tratti di una struttura sanitaria pubblica o di una casa di cura privata [7].
Effetto sospensivo delle ferie
Secondo i giudici l’effetto sospensivo della malattia sul periodo feriale è subordinata alla condizione che la funzione essenziale delle ferie – ossia il recupero delle energie psicofisiche dopo un anno di lavoro – risulti di fatto impedita dalla natura della patologia sopravvenuta [8], dovendosi tenere in minor conto il criterio della durata della prognosi. Al contrario se il datore dimostri, tramite gli opportuni controlli effettuati dalle strutture pubbliche, che la malattia non pregiudica la finalità delle ferie, la sospensione di queste ultime non ha luogo [9]; nella richiesta di visita all’INPS e alla ASL, il datore di lavoro deve precisare che il controllo è mirato a verificare se lo stato di malattia è tale da consentire la sospensione delle ferie [10]. L’effetto sospensivo si produce a partire dal momento in cui il datore di lavoro viene a conoscenza della malattia [11].
Ferie collettive
Qualora la malattia si verifichi durante il periodo di chiusura dell’impresa un periodo di ferie collettive, l’effetto sospensivo ha luogo ugualmente [12] e il lavoratore potrà fruire del periodo di ferie annuali a lui spettanti in un periodo successivo e diverso, previo opportuno accordo con il datore di lavoro [13].
[1] Art. 2109 cod. civ.
[2] C. Cost. sent. n. 616/1987.
[3] C. Cost. sent. n. 297/1990.
[4] Trib. Milano sent. del 26.2.1992.
[5] Secondo cui “spetta alla disciplina di dettaglio – cioè al legislatore e/o alla contrattazione collettiva – stabilire specificamente i casi o i criteri base ai quali l’effetto di sospensione delle ferie possa essere in concreto affermato, nonché le modalità dei relativi controlli”.
[6] Cass. sent. n. 15768/2000.
[7] Cass. sent. n. 1741/1998.
[8] Cass. sent. n. 8016/2006.
[9] Cass. SU sent n. 1947/1998; Cass. sent. n. 7303/2000.
[10] INPS, circ. 17.5.1999, n. 109.
[11] Cass. SU sent. n. 1947/1998.
[12] Cass. sent. n. 3093/1997.
[13] C. Giust. UE, Sez. 1ª, 10.9.2009, C-/08.
VISITA FISCALE – OBBLIGO DEL MEDICO
Visita fiscale del lavoratore in malattia: obblighi del medico
Fonte: leggepertutti.it
Medico dell’Inps: doveri durante la visita e la reperibilità del lavoratore dipendente.
Come noto, in caso di malattia del dipendente, il datore può richiedere alla sede INPS nella cui circoscrizione si trova il luogo dove il lavoratore è ammalato, l’effettuazione della visita di controllo già a partire dal primo giorno di assenza; anche a mezzo telefono ove poi faccia seguito un atto scritto.
A partire dal 1° dicembre 2011, la richiesta di visita di controllo deve essere effettuata in modalità esclusivamente telematica; la richiesta è comunicata immediatamente dall’INPS al medico tramite procedura telematica.
Così come il lavoratore ha degli specifici obblighi, primo tra tutti quello della reperibilità (peraltro mutato nel 2015: leggi “Inps, malattia e visite fiscali: nuove regole dal 2015”) anche il medico di controllo dell’Inps è tenuto al rispetto di una serie di obblighi impostigli dalla legge. Qui di seguito li affronteremo in modo schematico, con una importante precisazione preliminare: se il medico violi tali regole, il malato può legittimamente rifiutarsi di sottoporsi alla visita, ma, qualora sopraggiunga una causa con il datore di lavoro, dovrà fornirne la prova del comportamento illecito del medico stesso
Ecco, in sintesi gli obblighi:
1) il medico è tenuto a mostrare il tesserino dell’Ordine dei medici o l’apposito cartellino di riconoscimento;
2) quindi deve passare a indentificare il malato attraverso la carta di identità o altro documento;
3) se il lavoratore chiede che alla visita siano presenti altre persone presenti in casa, il medico fiscale è tenuto a farsi rilasciare, dal lavoratore medesimo, un consenso scritto e firmato con tale autorizzazione. Il medico dovrà poi annotare sul verbale il loro nome, cognome e grado di parentela;
4) il medico fiscale deve, poi, preliminarmente informare il dipendente dello scopo del controllo e che la visita medica è lecita e deve essere eseguita;
5) il medico deve astenersi dal fornire al lavoratore malato le proprie valutazioni sulla diagnosi e sulla terapia prescritte dal medico curante di base;
6) quindi si passa alla visita vera e propria; il medico, in particolare, visita accuratamente l’assicurato, limitatamente agli apparati interessati dalla patologia;
7) a visita eseguita, il medico redige il verbale. In esso vi indica: data e ora della visita domiciliare; anamnesi lavorativa, con dettaglio della qualifica e mansione; documentazione sanitaria esibita ed eventuali terapie (tipo, posologia, durata); diagnosi; prognosi medico legale; timbro e firma leggibile. Eventuali cancellature o correzioni vanno controfirmate a fianco;
8) se il certificato del medico di famiglia è scaduto o non è ancora in possesso del lavoratore e il medico non constata il ripristino della capacità lavorativa specifica, demandare la prognosi al curante, segnalando al Dirigente medico legale di II livello di sede di aver agito senza certificazione;
9) se il certificato non è ancora stato inoltrato all’INPS e viene esibito al momento della visita, deve riportare diagnosi, prognosi e data di rilascio, generalità e identificativo regionale (se convenzionato con il SSN) del medico che ha redatto il certificato;
I0) se l’assicurato è giudicato in condizioni di riprendere il lavoro, la prognosi va chiusa al massimo 3 giorni dalla data della visita;
11) il medico fiscale deve tenere comunque un comportamento corretto cortese anche se il lavoratore mostri delle resistenze alla visita
12) in ultimo, il medico fiscale è tenuto informare il malato:
– sull’esito della visita e sul fatto che deve essere apposta la firma sul verbale;
– su fatto che è diritto del lavoratore fare annotazioni sul verbale che firma;
– sul fatto che la firma senza osservazioni equivale ad accettare i contenuti e il giudizio prognostico;
– sul fatto che la firma con annotazione di dissenso comporta una successiva visita il Dirigente medico legale di Sede o la ASL.
Se il lavoratore è assente all’indirizzo indicato, il medico deve darne conto nel verbale, indicando rispettivamente se:
– all’indirizzo indicato (citofono/campanello) non ha risposto nessuno;
– il lavoratore è assente come da dichiarazione di un familiare maggiore di 14 anni o di altra persona presente in casa (indicare nome e cognome, con firma del dichiarante);
– risulta sconosciuto all’indirizzo indicato.
A questo punto, il medico deve rilasciare l’invito al lavoratore perché si presenti alla visita di controllo ambulatoriale il primo giorno successivo non festivo (salvo che non abbia ripreso l’attività lavorativa nel frattempo), indicandone la data mediante consegna:
– a un familiare maggiore di 14 anni;
– ad altra persona presente in casa (in busta chiusa);
– al portiere o a un vicino che accetti di riceverlo (in busta chiusa), che deve firmare una ricevuta.
In alternativa è possibile il deposito nella cassetta delle lettere.
L’invito alla visita ambulatoriale va inserito in una busta chiusa all’esterno della quale va trascritto il numero cronologico della notificazione, senza altri segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto; tale numero, insieme al nome del lavoratore, va comunicato all’INPS .
CESSIONE DI FERIE E RIPOSI
Possibile cedere ferie e riposi ai colleghi
FONTE: LEGGEPERTUTTI.IT
Decreto Semplificazioni e Job Act: nuove disposizioni in materia di rapporto di lavoro e di pari opportunità.
Sarà possibile cedere le proprie ferie ai colleghi: è questa una delle novità più interessanti contenute nel “Decreto Semplificazioni”, uno dei tanti che attua la riforma contenuta nel Job Act. Lo schema – che acquisterà forza di legge solo dopo il parere del Parlamento e la definitiva approvazione del consiglio dei ministri – prevede la possibilità, per i dipendenti di “cedere” gratuitamente parte delle ferie e riposi ai colleghi impiegati in mansioni di pari livello e categoria che devono assistere figli minori bisognosi di cure costanti. Spetterà ai contratti collettivi di lavoro stabilire poi le modalità pratiche per l’attuazione di questa previsione.
Ecco il testo della nuova norma (rubricata “Cessione dei riposti e delle ferie”):
“Fermo restando quanto disposto dal decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, i lavoratori possono cedere, a titolo gratuito, i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro impiegati in mansioni di pari livello e categoria, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che, per le particolari condizioni di salute, necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili al rapporto di lavoro”.
Insomma, la cessione delle ferie non potrà avvenire in modo completamente libero, ma solo se il dipendente beneficiario avrà dimostrato esigenze familiari e, in particolare, relative allo stato di salute dei propri figli e sempre che questi ultimi siano ancora minorenni.
Nuove norme sul collocamento disabili
Anche le persone con diritto all’assegno Inps di invalidità in ragione della ridotta capacità lavorativa a meno di un terzo e in modo permanente a causa di infermità o difetto fisico o mentale [ Art. 1 L. 222/1984.] avranno accesso alle tutele sul collocamento previste dalla legge [L. 68/1999.].
Novità nel caso in cui l’azienda si accorga solo dopo l’assunzione dello stato di disabilità del proprio dipendente. Infatti la nuova legge prevede che, qualora quest’ultimo fosse già disabile da prima dell’assunzione e tuttavia non sia stato assunto tramite il collocamento obbligatorio, lo stesso potrà comunque essere computato tra i “riservatari” se ha una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60% o al 45% se disabile psichico.
Viene eliminato l’obbligo della richiesta di avviamento per l’assunzione dei disabili “gravi”, che potranno essere assunti in modo diretto, entro i 60 giorni dall’insorgenza dell’obbligo, e che daranno diritto ai datori di lavoro di godere dei connessi incentivi.
SENTENZE CASSAZIONE – LICENZIAMENTO AUTOMATICO
Niente licenziamento automatico per chi svolge un secondo lavoro (di Arturo Bianco)
Fonte: ilsole24ore.com
La violazione del vincolo della esclusività della prestazione lavorativa non determina di per sé la decadenza dal rapporto di lavoro pubblico. Lo svolgimento di una seconda attività lavorativa non è cioè oggetto di una specifica sanzione disciplinare. Ricordiamo che il legislatore stabilisce che le amministrazioni pubbliche incamerino i compensi percepiti in modo illegittimo per lo svolgimento di una ulteriore attività lavorativa da un dipendente pubblico. Sono queste le principali indicazioni contenute nella sentenza della sezione Lavoro della Corte di cassazione n. 12120 dello scorso 11 giugno.
La vicenda
Essa conferma quanto stabilito dalla Corte di Appello, con l’annullamento del provvedimento della decadenza irrogato da un Comune. Tale provvedimento era stato irrogato ad un agente di polizia locale perché nello svolgimento di attività giornalistica avrebbe rivelato segreti d’ufficio e perché lo svolgimento della stessa può essere definita come «stabile e continuativa», quindi incompatibile con i doveri d’ufficio, in relazione alla mole notevole di articoli dallo steso redatti. Da sottolineare che lo svolgimento di questa attività era stata autorizzata da parte dell’amministrazione.
La decisione
Sono due i punti di maggiore rilievo nel merito contenuti nella sentenza. Ad essi si aggiunge la sintesi degli ambiti entro cui la Corte di cassazione può svolgere le sue attività di verifica delle pronunce dei giudici di appello e i vizi nelle relative pronunce che essa può censurare.
In premessa viene ricordata la disciplina applicabile, contenuta negli articoli 60 e seguenti del Dpr 3/1957, il testo unico delle norme sull’impiego civile. Ed ancora nell’articolo 53, con specifico riferimento al comma 1, del Dlgs n. 165/2001.
Ci viene precisato in primo luogo cha la sanzione della «decadenze dell’impiego non aveva natura disciplinare, ma presupponeva la perdita dei requisiti di indipendenza di totale disponibilità che, se mancanti ab origine, precluderebbero la costituzione del rapporto». Per cui non si può irrogare tout court questa sanzione nel caso di violazione del dovere di esclusività, ma occorre verificare se lo svolgimento delle stesse ha minato alla base il presupposto della indipendenza che necessariamente il dipendente pubblico deve avere.
In secondo luogo la sentenza constata che «il numero ridotto degli articoli redatti ed il loro contenuto dimostravano l’esiguità dell’impegno profuso nella attività di collaborazione giornalistica, peraltro previamente autorizzata dal Comune e la sua compatibilità con le funzioni rivestite di agente di polizia municipale». Per cui la irrogazione della sanzione della decadenza manca dei necessari presupposti.
PERMESSI PERSONALI E FAMILIARI
LA DOMANDA Nel caso il lavoratore sia assunto in corso di anno, i permessi per motivi personali e familiari di cui all’articolo 8, comma 1, del Ccnl 21/02/2002 devono essere determinati in modo proporzionale al servizio prestato?
Fonte: ilsole24ore.com
Il decreto legge n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008 ha sancito l’obbligo della quantificazione esclusivamente in ore dei permessi di cui all’articolo 8, comma 1, del Ccnl 21/02/2002.
La norma contrattuale in questione definisce gli eventi che ne legittimano la richiesta da parte del lavoratore e non contiene alcuna espressa previsione in ordine alla maturazione di tali permessi. Si ritiene, pertanto, che, nel caso in esame, le 18 ore annuali previste da tale norma contrattuale non rientrano tra gli istituti soggetti al riproporzionamento in relazione al periodo di servizio prestato e spettano per intero anche al lavoratore assunto in corso di anno.
AGENZIA DELLE ENTRATE – DIRIGENTI SENZA INCARICO
Entrate, sale la tensione sugli stipendi per i funzionari «illegittimi» (di Giorgio Costa e Giovanni Parente)
Fonte: ilsole24ore.com
Sono passati tre mesi dal deposito della sentenza 37/2015 della Corte costituzionale(avvenuto il 17 marzo scorso), che ha sancito l’illegittimità delle norme che hanno consentito di incaricare funzionari in ruoli dirigenziali senza il preventivo svolgimento di un concorso. Ad oggi non è stata ancora individuata una soluzione normativa.
I tentativi
Una norma che sembrava dover entrare nel decreto enti locali esaminato dal Consiglio dei ministri di giovedì scorso. Poi però non se n’è fatto più nulla ed è stato lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ad affermare che la soluzione sarà all’ordine del giorno in uno dei prossimi consigli dei ministri. A questo punto, però, non si può neanche escludere che una via d’uscita possa essere trovata nella riforma della Pa su cui, una volta arrivato il via libera del Parlamento, si aprirebbe poi la partita dei decreti delegati. A tal proposito, bisogna ricordare come il testo uscito dal Senato e ora all’esame della Camera preveda l’istituzione di un ruolo unico dei dirigenti sotto l’ala della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Rischio contenzioso
Nell’orizzonte più immediato si configura il rischio di un’ulteriore conflittualità. Da un lato, dopo le diffide inviate nelle scorse settimane alcune sigle sindacali sono pronte a passare all’azione nelle aule giudiziarie. «Stiamo partendo con i ricorsi – spiega Barbara Casagrande, segretario generale di Unadis – per chiedere l’inquadramento come dirigenti e la stabilizzazione degli incaricati». Intanto, però, «chi era stato incaricato ha comunque mandato il curriculum all’interpello per la copertura delle posizioni dirigenziali scoperte – aggiunge Casagrande – si tratta di un segnale: vediamo come reagirà l’amministrazione finanziaria». Dall’altro lato, è il Parlamento ad alzare il tiro. Con un’interrogazione presentata in commissione Finanze e che potrebbe trovare risposta al question time di oggi, il deputato Filippo Busin (Lega) sottolinea come il conferimento di incarichi a dirigenti privi di qualifica e senza concorso abbia «anche messo a rischio la validità degli atti firmati dai dirigenti illegittimi» come confermato da alcune pronunce di merito, «con conseguente responsabilità erariale, nella denegata ipotesi in cui tali pronunce dovessero trovare conferma in sentenze passate in giudicato, senza trascurare l’immane danno all’immagine subito».
Il nodo dei premi
A questo l’interrogazione aggiunge la questione dei premi corrisposti o da corrispondere ai dirigenti «decaduti» chiedendo al Mef di «far interrompere immediatamente tali illegittimi corresponsioni e, laddove già erogate, effettuare le dovute segnalazioni agli organi competenti». Intanto, sotto il profilo strettamente operativo, l’impatto sulla funzionalità degli uffici della “cancellazione” dei circa 1.200 dirigenti delle agenzie fiscali non dappertutto sta sortendo effetti paralizzanti dell’attività. Qualche rallentamento viene segnalato da Fulvio Morelli, delegato alla fiscalità per i Consulenti del lavoro. Mentre, Luigi Mandolesi, consigliere nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili con delega alla fiscalità, da una parte esprime «preoccupazione per il funzionamento del sistema», dall’altra ammette che «nessuna segnalazione di disfunzioni è arrivata finora dai nostri colleghi sul territorio». Anche dagli uffici del Garante del contribuente sul territorio non risulta nessuna segnalazione particolare e nessuna disfunzione segnalata. Peraltro, secondo alcuni funzionari che preferiscono mantenere l’anonimato, la sensazione è che gli uffici abbiano cercato di garantire la continuità salvo il fatto che i direttori sono costretti ad accentrare i provvedimenti e poi di volta in volta a delegare con ambiti di delega che cambiano in continuazione. Tuttavia questo, alla lunga, potrebbe portare a complessità sul fronte della continuità operativa perché, ad esempio, gli avvisi di accertamento prima firmati tutti da uno stesso dirigente ora possono avere la sigla di delegati diversi.
TRATTAMENTO ECONOMICO ACCESSORIO – DOTTORATO DI RICERCA
Dottorato di ricerca e diritto al trattamento accessorio
Fonte: Aranagenzia.it
LA DOMANDA L’indennità mensile di cui all’articolo 88, comma 2, lettera f del ccnl 16/10/2008 può essere riconosciuta al personale in aspettativa per dottorato di ricerca con assegni prevista all’art. 37, comma, dello stesso Ccnl?
L’indennità accessoria mensile, istituita dall’articolo 41, comma 4, del Ccnl 27/1/2005, risulta rientrare tra le voci del trattamento accessorio di cui all’art. 83 del Ccnl 16/10/2008 in materia di struttura della retribuzione.
Essa è ricompresa nel Fondo per le progressioni economiche e per la produttività di cui agli artt. 87 e 88 del Ccnl 16/10/2008 che disciplinano e finalizzano le risorse ad esso destinate allo scopo di “promuovere effettivi e significativi miglioramenti nei livelli di efficienza e di efficacia delle amministrazioni di qualità dei servizi istituzionali”.
Dalle modalità di utilizzazione del fondo si evince chiaramente che lo stesso è destinato a remunerare particolari condizioni di lavoro o specifici compiti o responsabilità strettamente connessi alla concreta effettuazione della prestazione lavorativa.
Del resto, con riferimento all’erogazione del suddetto trattamento accessorio, l’articolo 7, comma 5, del Dlgs n. 165/2001 prevede espressamente il divieto per le pubbliche amministrazioni di erogare trattamenti economici accessori che non corrispondono alle prestazioni effettivamente rese.
Tale principio, ribadito da quanto disposto dal Dlgs n. 150/2009 ed in particolare delle previsioni di cui al Titolo II dello stesso “Misurazione, valutazione e trasparenza della performance” in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, non trova corrispondenza nel caso di aspettativa con assegni per dottorato di ricerca.
Si rileva anche che, l’aspettativa con assegni per dottorato di ricerca, di cui alla legge 13 agosto 1984, n. 476 come modificata dal Dlgs. 18 luglio 2011, n. 119 prevede, al comma 2, che “In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro” omettendo, come espressamente disposto nel caso di altre aspettative previste da leggi, che il trattamento economico accessorio debba essere corrisposto.
In tale contesto ed in mancanza di diversa espressa previsione, si ritiene che, nel caso di aspettativa per dottorato di ricerca con assegni, le voci che costituiscono il trattamento accessorio, di cui all’articolo 83 del Ccnl 2006/2009, non possano essere corrisposte.
MANDATO ELETTORALE – TRASFERIMENTO SOLO SE VOLONTARIO
Durante il mandato elettivo dipendente trasferibile solo con il suo consenso (di Massimiliano Atelli)
Fonte: ilsole24ore.com
Gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l’esercizio del mandato e la richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità.
Lo prevede l’articolo 78, comma 6, del Tu n.267/2000, come ribadito dalla sezione I del Tar Abruzzo-Pescara con sentenza 15.06.2015, n. 257.
La giurisprudenza amministrativa ha al riguardo già chiarito che per effetto di tale disposizione “vige un divieto assoluto di trasferimento involontario durante il mandato elettorale” (Tar Puglia, sede, sezione II, 9 aprile 2013 n. 520), mentre la richiesta di avvicinamento deve essere esaminata tenendo sempre conto delle esigenze organizzative dell’Amministrazione e compatibilmente con esse (si veda per tutti e da ultimo Consiglio di Stato, sezione III, 4 giugno 2014 n. 2863, e sezione IV, 29 aprile 2014 n. 2226 e 2 luglio 2012 n. 3865).
In definitiva, cioè, secondo il chiaro tenore della norma in parola, durante il mandato elettorale il dipendente può essere trasferito solo con il suo “consenso espresso”.
Il caso
Un ufficiale medico aveva chiesto di essere trasferito presso una sede, indicandone una seconda in via subordinata. L’amministrazione non aveva accolto la prima domanda per indisponibilità del posto, e aveva ignorato la seconda domanda.
Argomenti, spunti e considerazioni
La decisione del Tar abruzzese persuade.
Effettivamente, l’articolo 78, comma 6, del Tu n. 267/2000 è molto chiaro nel prevedere che “gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l’esercizio del mandato” e che “la richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità”.
Ne consegue che lo svolgimento del mandato ha carattere vincolante per l’amministrazione di appartenenza, tanto per ciò che attiene all’aspetto del trasferimento quanto per ciò che riguarda il tema dell’avvicinamento. E la cosa continua ad avere pienamente un senso, perché l’amministratore deve poter – anzitutto, fisicamente – svolgere il mandato affidatogli con il voto dalla comunità territoriale interessata.
INPS – REGOLE ANTICORRUZIONE
Anticorruzione, al via le regole Inps sui conflitti d’interessi (di Paola Rossi)
Fonte: ilsole24ore.com
PDFLa circolare Inps n. 121/2015
L’Inps detta i criteri interpretativi che la dirigenza è tenuta a seguire per valutare i casi di conflitto d’intressi in cui può venire a trovarsi il dipendente pubblico. Infatti, con la circolare n. 121 del 2015 detta gli indirizzi che andranno seguiti per il personale Inps, ma in base alle regole anticorruzione che sono generali per tutto il comparto pubblico. Al centro dell’intervento di prassi l’obbligo di astensione in caso di conflitto, la segnalazione al dirigente e la valutazione della situazione di incompatibilità.
L’obbligo di astensione nell’evoluzione normativa
L’obbligo di astensione prende le mosse dalla legge 241/1990 che lo prevedeva per i responsabili di procedimento e i titolari di uffici competenti a realizzare atti endoprocedimentali. Con il Dpr 62/2013 (Codice di comportamento generale per i dipendenti pubblici) viene varato un quadro di prescrizioni per tutte le amministrazioni, che potevano su quella base prevedere specifiche norme ad hoc. Il Codice si riferisce all’obbligo per tutti i dipendenti in relazione a interessi di qualsiasi natura, diretti o mediati, che vanno posti all’attenzione della competente dirigenza, che è tenuta a prendere tutte le iniziative necessarie contro compromissioni del buon andamento dell’azione istituzionale e dell’immagine dell’ente pubblico, compresa la decisione di valutare comunque imparziale il dipendente chiamato a operare in una data situazione. Infatti, anche secondo l’ulteriore normativa adottata in materia cioè il Piano nazionale anticorruzione i conflitti di interessi non possono essere risolti attraverso prefissati criteri di incompatibilità assoluta tra situazioni soggettive e prestazioni professionali, ma vanno motivati dalla dirigenza.
Già la circolare n. 27/2014 e il Codice di comportamento dell’Istituto avevano disciplinato gli adempimenti attuativi dell’obbligo di astensione che grava sui dipendenti Inps ogniqualvolta, nello svolgimento dell’attività di servizio, si configuri un conflitto di interessi, anche potenziale, e «in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza».
In particolare sui dipendenti Inps
Ampiezza e varietà dei servizi prestati dall’Inps nei confronti di cittadini e imprese comportano che spesso siano coinvolti interessi privati. Pertanto, situazioni di potenziale conflitto di interessi sono, sicuramente, ipotizzabili in capo a coloro che, impegnati in attività istituzionali, intrattengono relazioni extra–ufficio ( dirette o mediate) con i suddetti portatori di interesse.
Sul punto la circolare fornisce gli esempi più diffusi di potenziale conflitto d’interessi precisando che non si tratta di un vademecum esaustivo di tutte le possibili fattispecie.
Le esemplificazioni si riferiscono in particolare ai casi in cui scattano specifici obblighi di comunicazione a carico dei dipendenti interessati:
1. lo svolgimento da parte di coniuge, conviventi, parenti, affini entro il secondo grado, di attività (ivi inclusi stage o tirocini) presso enti di Patronato;
2. lo svolgimento da parte di coniuge, conviventi, parenti, affini entro il secondo grado, di attività (ivi inclusi stage o tirocini) di/presso consulenti del lavoro, associazioni di categoria datoriali, commercialisti e ragionieri abilitati alla consulenza del lavoro;
3. l’esercizio di un mandato politico-amministrativo senza collocamento in aspettativa del dipendente o lo stesso esercizio di mandato da parte di coniuge, conviventi, parenti, affini entro il secondo grado.
La circolare precisa che, in base al Codice generale, sono assimilabili ai soggetti espressamente indicati:
– tutte le persone che siano una frequentazione abituale, quelle con le quali il dipendente o il coniuge abbia cause pendenti o gravi inimicizie o rapporti di credito o debito significativi, ovvero i soggetti di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente.
ABUSI EDILIZI
Obbligo della Pa di provvedere anche sugli abusi edilizi, previa verifica degli uffici (di Tiziana Krasna)
Fonte : ilsole24ore.com
Con la sentenza n. 829 del 28.5.2015, la II Sezione del Tar Sardegna ha chiarito, riguardo all’articolo 2, comma 1, della legge 241/1990 («Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo»), che il dovere di pronunciarsi sussiste anche laddove la domanda sia, per ipotesi, manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata.
Il principio di diritto
Per consolidata giurisprudenza, l’obbligo della Pubblica amministrazione di provvedere su un’istanza è configurabile, a prescindere dall’esistenza di una specifica disposizione normativa che lo imponga, ogni qual volta in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sia riscontrabile in capo al privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni di quest’ultima ( cfr. Tar Sardegna, Sez. I, 11/10/2013 n.630; Sez. II, 17/7/2012 n.712 ; Sez. I, 8/4/2011 n.329; Tar Calabria- Catanzaro, Sez. I, 13/4/2011 n. 518; Cons. Stato, Sez. IV, 2/2/2011 n.744; Sez. V, 22/11/1991 n. 1331).
In materia edilizia, l’obbligo del Comune di provvedere sussiste non solo nei casi in cui i privati – che abbiano uno stabile collegamento con la zona interessata dall’abuso – chiedano un atto ampliativo a loro favore ma anche quando chiedano il rispetto dei titoli abilitativi rilasciati, degli strumenti urbanistici o della disciplina edilizia attraverso l’eliminazione di abusi (intendendo per tali gli interventi effettuati in assenza di titolo edilizio).
Ai fini dell’accertamento dell’obbligo di provvedere da parte dell’Amministrazione, poi, non è necessaria la precisa corrispondenza tra il contenuto della denuncia e l’atto di avvio del procedimento sanzionatorio, poiché, comunque, i fatti esposti dal privato debbono essere verificati d’ufficio, sotto il profilo della loro sussistenza e della loro qualificazione giuridica.
Il caso
Nella specie, si controverte sul se, in materia edilizia, il Comune abbia l’obbligo di provvedere sull’istanza del privato – che abbia uno stabile collegamento con la zona interessata dall’abuso – non solo quando chieda un atto ampliativo a proprio favore ma anche quando chieda il rispetto dei titoli abilitativi rilasciati, degli strumenti urbanistici o della disciplina edilizia attraverso l’eliminazione di abusi (intendendo per tali gli interventi effettuati in assenza di titolo edilizio).
Argomenti, spunti e considerazioni
La decisione del Tar Sardegna è condivisibile.
Anche in materia edilizia, infatti, l’obbligo della pubblica amministrazione di provvedere su un’istanza è configurabile, a prescindere dall’esistenza di una specifica disposizione normativa che lo imponga, ogni qual volta in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sia riscontrabile in capo al privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni di quest’ultima.
In ogni caso, peraltro, ad evitare fra l’altro possibili situazioni di uso distorto o strumentale del meccanismo amministrativo, i fatti esposti dal privato debbono essere verificati d’ufficio, sotto il profilo della loro sussistenza e della loro qualificazione giuridica. Fra denunziante e denunziato, insomma, resta essenziale la mediazione “terza” dell’amministrazione.
DIRIGENTI – INDENNITÀ SOSTITUTIVA
Niente indennità sostitutiva per il dirigente comunale che non programma le ferie (di Francesco Machina Grifeo)
Fonte: ilsole24ore.com
Il dirigente che ha il potere di attribuirsi le ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, ove non lo eserciti, non usufruendo dei relativi periodi di riposo, non ha diritto all’indennità sostitutiva. A meno che non provi necessità aziendali «eccezionali ed obiettive» tali da averne impedito la fruizione. Lo ha stabilito la Sezione lavoro del tribunale di Firenze, sentenza 20 gennaio 2015 n. 60, respingendo il ricorso della responsabile dell’ufficio Finanziario di un Comune.
Il caso
Al momento della risoluzione del rapporto, la dirigente aveva chiesto al Comune il pagamento di 16mila euro a titolo di indennità sostitutiva per 79 giorni di ferie non godute. Il Comune aveva obiettato che ella era libera di decidere da sola i giorni di assenza e che non era vero che esigenze di servizio l’avessero bloccata sul posto di lavoro. In giudizio, la dirigente ha affermato che «aveva prestato servizio fra Ragioneria, Economato e ufficio Tributi del Comune svolgendo svariati ruoli e incarichi con costante necessità anche di aggiornamento teorico e operando in settori con carenze di organico, situazione che nel suo complesso le aveva impedito di usufruire delle ferie via via maturate, anche per la difficoltà di essere sostituita come dirigente, avendo un unico sostituto – il ragioniere capo – con il quale doveva concordare l’alternanza delle presenze nel periodo estivo». Dunque, seppur legittimata a programmare le proprie ferie quale dirigente «negli anni non avrebbe mai potuto usufruirne in modo completo per esigenze di servizio».
La motivazione
Il tribunale pur dando atto alla ricorrente della necessità di aggiornarsi continuamente per la diversità dei compiti assunti, afferma che da ciò «non poteva certo risultare – come invece apoditticamente sostenuto dalla ricorrente – alcun automatico impedimento a godere delle ferie per la asserita necessità di costante presenza in servizio nel medesimo arco di tempo». Risulta provato, infatti, che ella non aveva necessità di «alcuna autorizzazione per fruire delle ferie», per cui per ottenere l’indennità sostitutiva sarebbe stato «suo onere individuare quale fosse il soggetto fornito di tale potere, e soprattutto in quali occasioni quest’ultimo lo avrebbe esercitato negando la concessione di ferie richieste invece dalla ricorrente», ma sul punto manca ogni deduzione.
Le conclusioni
In definitiva, conclude la sentenza, poiché il mancato risposo della ricorrente «non è risultato dipendere né da restrizioni normative o contrattuali al diritto di godere delle ferie, né da volontà datoriale né da forza maggiore, nel negare il diritto all’indennità sostitutiva non si ravvisano profili di contrasto con la disciplina costituzionale (articolo 36 Cost) né con quella comunitaria (Cgue, sentenza 20 gennaio 2009 nei procedimenti n. c-350/06 e c-520/06 relativi alla direttiva 2003/88/Ce).
REGOLARITÀ PAGAMENTI – RETRIBUZIONE DI RISULTATO
I tempi nei pagamenti misurano la retribuzione di risultato (di Marco Rossi)
Fonte: ilsole24ore.com
Per effetto di una pluralità di disposizioni che si sono sedimentate nel tempo, il mancato adempimento degli obblighi progressivamente introdotti per tendere alla velocizzazione dei pagamenti e al rispetto dei termini di regolamento di cui al Dlgs 231/2002 è destinato, come noto, ad incidere sul «risultato» dei dirigenti e responsabili di servizio interessati.
Secondo una soluzione legislativa ultimamente divenuta molto frequente, allo scopo di rafforzare e rendere più stringente lo svolgimento di taluni adempimenti posti a carico delle pubbliche amministrazione, infatti, anche in relazione a tali aspetti il legislatore ha esplicitamente previsto, per le eventuali inadempienze, una responsabilità di risultato e disciplinare. Ne consegue che questi obblighi devono essere adeguatamente verificati e riscontrati da parte degli organismi indipendenti di valutazione (a prescindere dalla motivazione) ai fini della definizione e determinazione dell’indennità di risultato specificamente spettante ai responsabili di struttura sulla base della disciplina prevista dai contratti collettivi.
Le fattispecie
Rispetto al “tema” puntuale dei termini di pagamento da parte dell’ente e del monitoraggio dei debiti della pubblica amministrazione, divenuto sempre più importante negli ultimi anni, il Legislatore ha assistito esplicitamente molteplici adempimenti con la responsabilità di risultato (si veda anche la circolare Rgs n. 15/2015).
Una prima fattispecie rilevante è costituita dall’obbligo di registrazione e accreditamento sulla piattaforma per la certificazione dei crediti ai sensi dell’articolo 7 della legge 64/2013, per cui – in aggiunta – è stabilita altresì una specifica sanzione in misura pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo. E’ evidente che si tratta di una fattispecie che richiedeva una particolare attenzione nella fase iniziale (ossia a seguito dell’entrata in vigore della disposizione, che prevedeva anche il termine di 20 giorni per provvedere) ma che, in ogni caso, merita un riscontro sistematico e continuo.
A seguire rileva l’obbligo, periodico, di effettuare la comunicazione annuale (entro il 30 aprile dell’anno successivo) dei debiti commerciali non ancora estinti maturati al 31 dicembre dell’esercizio precedente, ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 7, comma 4-bis della legge 64/2013.
Ancora, comporta responsabilità di risultato, l’obbligo previsto dall’articolo 7bis, commi 4 e 5, della legge 64/2013 (introdotto dalla legge 89/2014), di comunicazione, mediante la medesima piattaforma elettronica, entro il 15 di ciascun mese, dei dati relativi ai debiti non estinti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture e appalti e obbligazioni relative a prestazioni professionali, per i quali, nel mese precedente, sia stato superato il termine di decorrenza degli interessi moratori.
La stessa sanzione assiste anche l’adempimento, in relazione a tali debiti, di comunicare (a partire dal 1° luglio 2014) i dati dei relativi pagamenti, sempre attraverso la piattaforma per la certificazione dei crediti, allo scopo di rappresentare un quadro tendenzialmente aggiornato.
In ultimo, assume rilievo l’obbligo, di cui agli articoli 27 e 36 della legge 89/2014, di provvedere all’obbligo di certificare i crediti scaduti, ovvero di comunicarne il diniego motivato, entro 30 giorni dalla richiesta del creditore, sempre attraverso la piattaforma attivata.
Metodologia
Se quelli indicati sono gli ambiti ed adempimenti da analizzare, ai fini dell’individuazione dell’impatto sul “risultato” occorre verificarne l’assolvimento e, in caso di omissione o ritardo, determinare la conseguente riduzione a valere sulla retribuzione concretamente riconosciuta. Avendo tali disposizioni un effetto prevalentemente sanzionatorio, può essere ragionevole (trattandosi anche della soluzione che presenta una maggiore diffusione nella prassi) introdurre un meccanismo che applichi tali penalizzazioni sull’entità della performance precedentemente determinata in funzione degli elementi già previsti dall’articolo 9 del Dlgs 150/2009 (decreto Brunetta). In altri termini, si tratta di misurare inizialmente, secondo le logiche «tradizionali» dei sistemi di valutazione del personale, il «risultato» concretamente realizzato dai diversi responsabili di struttura (tenendo conto degli obiettivi e delle prestazioni manageriali), a cui fare seguire una seconda fase di verifica dello svolgimento di una serie di obblighi formali specificamente previsti dalle disposizioni di legge che, eventualmente, possono determinare un «abbattimento» del livello riconosciuto. Operativamente, ciò può avvenire mediante l’attivazione di un’apposita scheda di rilevazione, con riferimento ad ogni soggetto valutato, finalizzata a formalizzare il riscontro dell’adempimento rispetto alle diverse fattispecie puntualmente individuate e selezionate dal legislatore come potenzialmente foriere di incidere sul trattamento accessorio (oltre alla disciplina dei pagamenti, per esempio, rileva il rispetto dei vincoli in materia di lavoro flessibile, degli obblighi di trasparenza, degli obblighi di contrasto delle condotte assenteistiche, eccetera). Ciascuna inadempienza osservata, quindi, comporterà una riduzione del “risultato” effettivamente riconosciuto sulla base di una percentuale prevista all’interno di un range di penalizzazione predefinito (ad esempio, dal 2% al 5-10% per ciascun elemento), la cui puntuale determinazione può essere eseguita dall’organismo di valutazione tenendo conto di alcuni profili che entrano in gioco, come la gravità dell’inadempienza, la ripetizione, l’impatto gestionale prodotto.
Esito
A seguito di tale graduazione, e sommando le diverse percentuali sanzionatorie individuate, diviene possibile quantificare la penalizzazione complessivamente da applicare alla performance determinata sulla base degli elementi che vi concorrono secondo il sistema di valutazione. Così procedendo si realizza un iter pienamente coerente con l’assetto normativo, che impone di tenere conto non soltanto degli elementi della vera e propria performance ma altresì delle molteplici disposizioni e fattispecie che, esplicitamente, incidono sull’indennità di risultato attribuita ai diversi soggetti sottoposti a valutazione. A tale scopo, con l’obiettivo di predefinire le regole che presiedono questa importante fase del percorso valutativo, merita conclusivamente ricordare che può essere utile definire il quadro di riferimento, tenuto conto delle specificità dell’ente, nell’ambito dei regolamenti ovvero della metodologia di valutazione, disciplinando l’entità delle penalizzazioni applicate e la metodologia di quantificazione, assicurando così una migliore oggettività al sistema.