Bollettino sindacale di informazione varia – 2/2015

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CUG E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Il ruolo dei CUG nella riforma della Pubblica Amministrazione e nel contrasto alla corruzione

Fonte: bilancioecontabilita.it

Con comunicato del 16/06/2015 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rende noto che:

Assicurare alle persone pari dignità sul lavoro; promuovere e/o potenziare le iniziative attuative delle politiche di conciliazione; innovare, razionalizzare e rendere efficiente ed efficace l’organizzazione del lavoro pubblico, riconoscendo il merito; eliminare ogni forma di violenza morale e psicologica; tutelare l’etica della Pa attraverso il benessere organizzativo e la prevenzione del disagio lavorativo; combattere le discriminazioni dirette e indirette riferite al genere e non solo. Sono alcune delle linee guida contenute nella “Carta” che ha accompagnato il battesimo del neo-costituito Forum dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni, presentato oggi 16 giugno, in un convegno a Montecitorio.

Fra le trentatré realtà istituzionali presenti, anche l’Agenzia delle Entrate, con la voce del suo direttore, Rossella Orlandi, la quale ha ricordato che il Cug dell’Agenzia è già attivo da quasi quattro anni. L’impegno del Comitato ha contribuito in questi anni a migliorare concretamene il benessere sul luogo di lavoro attraverso numerose iniziative, come l’opportunità del telelavoro, per venire incontro agli impegni familiari dei dipendenti, evitando situazioni di stress con ripercussioni sia sulla propria vita privata sia sulla produttività.

Stessa ratio per il part time, di cui usufruiscono 2.796 lavoratori delle Entrate.

Diverse le tematiche etiche incluse poi nel Codice di comportamento dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, in elaborazione, come il contrasto ad atteggiamenti che abbiano effetti negativi sui destinatari dell’azione amministrativa o che comportino discriminazioni basate su sesso, nazionalità, origine etnica, caratteristiche genetiche, lingua, religione, convinzioni personali o politiche, appartenenza a una minoranza nazionale, disabilità, condizioni sociali o di salute, età e orientamento sessuale o su altri diversi fattori.

Il numero uno dell’Amministrazione finanziaria, inoltre, si è detta particolarmente orgogliosa di rappresentare l’istituzione che per prima ha attivato la procedura di whistelblowing, una misura volta a incoraggiare chi viene a conoscenza di condotte illecite di colleghi e si assume la responsabilità di denunciarle: “non soltanto i reati, ma tutte le condotte che non possono e non devono appartenere al comune sentire di un’Amministrazione sana, che chiede correttezza e trasparenza a 43 milioni di italiani”. Chi persegue davvero la lotta all’illegalità fiscale, deve necessariamente essere l’emblema della legalità e dell’onestà.

dichiarazione-dei-redditi

DICHIARAZIONI DEI REDDITI

Dichiarazione infedele: commercialisti a rischio

Fonte: cgiamestre.com

Commercialisti a rischio: si può arrivare al sequestro dei beni personali per la contabilità del contribuente accusato di dichiarazione infedele. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione  con la sentenza numero 24967 del 16 giugno 2015: come consulente, il commercialista avrebbe dovuto riportare la situazione alle legalità. Con questa sentenza, la terza sezione penale, ha ribadito che la misura reale del sequestro può incidere contemporaneamente sui beni di ciascuno dei concorrenti, sia del contribuente che del professionista che si è occupato della contabilità.

Stress im Job

MOBBING

Mobbing: anche il comportamento dei colleghi può portare alla condanna

fonte: laleggepertutti.it

Esistono diverse tipologie di mobbing, quello messo in atto dal datore, detto “bossing” o “mobbing verticale” e quello praticato da colleghi detto “mobbing orizzontale”, ma sono tutte condotte illecite lesive verso il lavoratore che le subisce.

Si definisce “mobbing” il comportamento consistente in una serie di atti (anche se singolarmente considerati eventualmente leciti) che hanno lo scopo di perseguitare un lavoratore per emarginarlo, colpirlo e spingerlo, ad esempio, a presentare le dimissioni o il trasferimento o altro. Il mobbing, in altre parole, non è che un processo sistematico e voluto di cancellazione della figura del lavoratore che viene portato avanti attraverso una continua sottrazione di mezzi essenziali per lavorare ed attraverso un continuo deterioramento dei rapporti interpersonali che sono necessari al lavoratore per svolgere la sua normale attività lavorativa.

Si deve trattare di una condotta – considerata nel suo complesso – lesiva della dignità professionale e umana del lavoratore, dignità da intendersi sotto l’aspetto morale, psicologico, fisico o sessuale.

Quando questo comportamento è realizzato dal datore di lavoro (o comunque da un superiore) nei confronti di un dipendente prende anche il nome di “bossing” (o “mobbing verticale”).

Quando questa pratica è realizzata da alcuni lavoratori nei confronti di un loro collega, il fenomeno viene anche definito “mobbing orizzontale”.

 Esempi sono quelli in cui la possibilità di relazionarsi coi colleghi è limitata: al lavoratore vengono più volte cambiate le mansioni, ma la maggior parte delle volte deve fare lavori in cui il contatto con i colleghi è ridotto al minimo. Altri esempi sono quelli in cui il lavoratore è costretto a fare lavori umilianti, in relazione alla sua condizione sociale e personale e piuttosto disparati. Nonostante sia un valido lavoratore che ottiene degli ottimi risultati, il lavoro non viene mai premiato, ma il più delle volte viene giudicato in maniera sbagliata e offensiva.

 Ancora, sono esempi di mobbing lo svuotamento delle mansioni tale da rendere umiliante il prosieguo del lavoro, i continui rimproveri e richiami espressi in privato ed in pubblico anche per banalità, l’esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo, oppure l’esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata o, l’interrompere o impedire il flusso di informazioni necessari per l’attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull’accesso a internet).

 Perché sussista il mobbing, quindi, non è sufficiente un singolo atto ma è necessaria una pluralità di situazioni. Questi comportamenti devono essere tutti finalizzati alla persecuzione del lavoratore per ottenerne le dimissioni, a prescindere dal fatto che l’obiettivo venga o meno raggiunto.

Il lavoratore vittima di mobbing può maturare delle vere e proprie patologie, fisiche o psichiche, che possono essere indennizzate attraverso una richiesta di risarcimento dei danni, nei confronti dell’azienda datrice, sia che siano state perpetrate dal datore di lavoro o dai superiori e, talvolta, anche dai colleghi.

PERIODO DI PROVA

Periodo di prova: licenziamento del lavoratore anche senza motivazioni?

fonte: laleggepertutti.it

Licenziamento per giusta causa: il periodo di prova è un lasso di tempo, alla fine del quale ognuna delle parti è libera di chiudere il rapporto di lavoro senza, di contro, soggiacere all’obbligo del preavviso o di altre indennità, ma non deve essere confuso con il licenziamento.

Il lavoratore ed il datore possono inserire nel contratto di lavoro una clausola per lo svolgimento di un periodo di tempo, il cosiddetto patto di prova, al fine verificare la reciproca convenienza in ordine alla successiva conclusione del contratto definitivo. La legge [Art. 2096 cod. civ.] richiede per tale periodo di prova la forma scritta, ed in mancanza di tale requisito il patto di prova stesso deve considerarsi nullo e la assunzione del dipendente deve considerarsi definitiva. La durata massima del periodo/patto di prova, di norma, viene demandata alla contrattazione collettiva.

La peculiarità del patto/periodo di prova sta appunto nel fatto che, alla fine del periodo, il datore (ma anche il lavoratore) può decidere di non proseguire il rapporto di lavoro, anche senza nessuna apparente motivazione. Tale situazione, per essere legittima, deve appunto essere esercitata alla scadenza del periodo. Infatti, nel caso il periodo di prova abbia esito positivo da parte del datore, si parla di conferma del contratto. Qualsiasi altra situazione si possa verificare all’interno del periodo di prova, segue le normali regole del diritto del lavoro. Se, ad esempio, dopo poche settimane il lavoratore dovesse assentarsi dal lavoro senza motivazione l’azienda potrebbe licenziare il dipendente per assenza ingiustificata, con una procedura di licenziamento assolutamente normale.

Quindi, non è esatto dire che al termine del periodo di prova il lavoratore può essere licenziato (anche se oramai è un’espressione assolutamente comune) ma, piuttosto, che il datore può decidere di recedere dal contratto di lavoro. La giurisprudenza è intervenuta al fine di precisare i limiti nonché le situazioni che possono rendere illegittimo il periodo di prova. Ad esempio, è stata affermata l’illegittimità dei recessi in prova che siano intimati dopo un lasso di tempo troppo breve e comunque in assenza di una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore.

Il patto di prova è nullo anche in caso di mancata indicazione delle specifiche mansioni alle quali verrà adibito il lavoratore durante il periodo di prova. Il requisito della specificità non è soddisfatto né dalla presenza di una generica espressione, alla quale non sia possibile attribuire alcun significato, se non quello dell’individuazione del reparto presso cui sarà adibito il lavoratore, né dal richiamo al livello e alla qualifica previste dalla contrattazione collettiva, qualora il livello e la qualifica contengano vari profili professionali. Conseguenza della nullità è la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato [Trib. Milano sentenza del 20.12.2007.].

FERIE

Ferie: quando spettano? E per quanto tempo?

fonte: laleggepertutti.it

Le ferie costituiscono un diritto costituzionale irrinunciabile del lavoratore ad un periodo di riposo per reintegrare le proprie energie psico-fisiche, ma il datore di lavoro ha sempre l’ultima parola sul periodo di fruizione e sulla modalità di scelta.

Per quanto riguarda la quantità di ferie da fruire, la legge L. n. 66/2003 stabilisce che il lavoratore ha diritto a un periodo di riposo annuale (a titolo di ferie retribuite) non inferiore a quattro settimane. Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo sia intervenuta la risoluzione del rapporto di lavoro.

Con una circolare [Ministero del Lavoro, Circolare n.8, dell’8 marzo 2005.], il Ministero del Lavoro ha chiarito che al lavoratore deve essere garantito un periodo di almeno due settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell’anno di maturazione, su richiesta del lavoratore stesso. I contratti collettivi di lavoro, anche aziendali, possono stabilire condizioni di miglior favore.

 In sintesi, le ferie sono regolate dai seguenti principi:

– le modalità di concessione e di fruizione delle ferie continuano ad essere regolamentate dal Codice Civile [Art. 2109 cod. civ.];

 – le quattro settimane del periodo annuale di ferie vanno godute, per almeno la metà, nell’anno di maturazione e per il residuo nei successivi 18 mesi dalla maturazione, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva di riferimento;

 – le due settimane di fruizione delle ferie maturate nell’anno corrente vanno godute consecutivamente, ma solo in caso di richiesta del lavoratore;

 – la mancata fruizione delle ferie annuali legali, nel limite del periodo minimo legale, pari a quattro settimane, non può essere sostituita dalla relativa indennità, se non al momento della cessazione del rapporto di lavoro;

 – i contratti collettivi possono prevedere periodi di ferie ulteriori a quello legale. Questi periodi possono essere fruiti in base a quanto esplicitato dal contratto collettivo e, quindi, in astratto, anche successivamente al 18° mese dalla maturazione;

 – l’indennità sostitutiva può essere riconosciuta in caso di mancata fruizione del periodo di ferie c.d. contrattuale, aggiuntivo della previsione legale (cioè quello della quinta settimana, se prevista dal CCNL);

 – il mancato riconoscimento del periodo di ferie, nei limiti della previsione legale, comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, in capo al datore di lavoro; se, invece, la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni, la sanzione è aumentata; infine, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa pecuniaria è maggiorata di molto e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta.

La Corte Costituzionale, inoltre, ha specificato nel corso degli anni i seguenti concetti che fanno parte ora del normale tessuto normativo sul tema:

 – le ferie maturano in costanza di rapporto di lavoro e non alla fine di ciascun anno di ininterrotto servizio;

– le ferie maturano anche nei confronti dei lavoratori assunti in prova e le stesse devono essere monetizzate in caso di recesso dal rapporto;

– la malattia insorta durante il periodo di ferie ne interrompe il decorso nell’ipotesi in cui sia idonea ad incidere sul godimento al riposo ed alla rigenerazione delle energie psico-fisiche del lavoratore.

Sembra opportuno sottolineare ulteriormente che, l’art. 36 Costituzione sancisce l’irrinunciabilità delle ferie. Per questo sono nulli, per contrasto con norme imperative di legge, eventuali accordi che prevedano una rinunzia del lavoratore alle ferie, sia gratuitamente, sia dietro compenso. A nulla rileva, in tale ambito, che sia il lavoratore a richiedere di non fruire delle ferie.

L’obbligatorietà dell’effettivo godimento delle ferie nei termini di legge e la non sostituibilità di queste con la relativa indennità, consentono di affermare che l’effettiva fruizione delle ferie deve addirittura essere imposta al lavoratore: il datore di lavoro, quantomeno con riferimento al periodo minimo di quattro settimane, potrà quindi legittimamente rifiutare la prestazione offerta dal lavoratore nel periodo stabilito per il godimento delle ferie senza che il suo comportamento possa costituire inadempimento.

 Il datore di lavoro, per sua parte, ha una rilevante voce in capitolo, per quanto riguarda l’organizzazione delle ferie dei propri lavoratori. In particolare:

 – le modalità di fruizione delle ferie (cioè l’esatta individuazione dei giorni di assenza dal lavoro) sono stabilite dall’imprenditore, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e, naturalmente, degli interessi del prestatore di lavoro;

 – l’imprenditore deve preventivamente comunicare al lavoratore il periodo stabilito per il godimento delle ferie.

 Detti principi comportano il fatto che il datore, tenuto conto delle esigenze del lavoratore, è tenuto a consentire la fruizione delle ferie, compatibilmente con le esigenze connesse con la propria organizzazione aziendale.

 In conclusione, il lavoratore ha diritto alle ferie ma è il datore che sceglie quando farle fruire.

STAGISTI E TIROCINANTI – SICUREZZA SUL LAVORO

Stagisti e tirocinanti: obblighi per la sicurezza sul lavoro

Fonte: laleggepertutti.it

Stagisti e tirocinanti sono tra quelle figure ibride che stanno a metà tra i collaboratori aziendali veri e propri e coloro che pur di imparare prestano aiuto gratuito; ragion per cui non è facile collocarli alla luce delle normative sulla sicurezza sul lavoro.

Ci si chiede spesso se coloro che svolgono stages o tirocini formativi all’interno di una azienda rientrino, ai fini dell’applicazione della legge sulla sicurezza sul lavoro [D. Lgs. n. 81/2008], nel percorso formativo dettato dall’Accordo Stato-Regioni [Accordo Stato Regioni del 21/12/2011] sulla formazione dei lavoratori, dirigenti e preposti? La risposta è si. La definizione di lavoratore ai fini dell’applicazione del decreto legislativo sopra citato è contenuta nello stesso decreto legislativo [D. Lgs. n. 81/2008, art. 2, comma 1 lettera a)]. Infatti, il lavoratore è la: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.

Lo stesso articolo, così come modificato da una legge successiva [D. Lgs. 3/8/2009 n. 106], indica comunque anche coloro che sono da considerarsi equiparati ai lavoratori, ed in merito precisa che: “Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione …; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento …; l’allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni”,

Dalla semplice lettura della norma è facile osservare che fra gli equiparati ai lavoratori il legislatore ha voluto specificatamente inserire gli stagisti ed i tirocinanti. È chiaro quindi che, nell’ipotesi in cui presso un’azienda siano presenti soggetti che svolgano stages o tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto a osservare tutti quegli obblighi previsti dalla legge sulla sicurezza [1] nei confronti dei lavoratori, e sarà tenuto anche per questi casi ad adempiere agli obblighi formativi connessi alla specifica attività svolta.

Agli stagisti ed ai tirocinanti in definitiva, ai sensi dell’Accordo Stato-Regioni sulla formazione dei lavoratori, dirigenti e preposti [2], deve essere impartita una formazione generale della durata di 4 ore ed una formazione specifica della durata di 4, 8 o 12 ore a seconda del settore di attività al quale appartiene l’azienda ed a seconda della fascia di rischio, basso, medio o alto, nella quale è inserita l’attività dell’azienda medesima. In tal senso si è espresso anche il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella risposta ad un quesito allo stesso formulato in data 1/10/2012.

Nel fornire tale risposta, infatti, il Ministero del Lavoro, dopo aver ribadita la equiparazione [,degli stagisti e dei tirocinanti con i lavoratori, ha concluso sostenendo che, nel caso in cui presso un’azienda o uno studio professionale siano presenti soggetti che svolgano stage o tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto ad osservare tutti gli obblighi di legge necessari a garantire la salute e la sicurezza degli stessi e, quindi, adempiere gli obblighi formativi connessi alla specifica attività svolta.

CONTRIBUTI INPS – COME FARE PER…

Contributi silenti Inps (versati e non riscossi): strategie per recuperarli

Fonte: laleggepertutti.it

Come si possono recuperare i contributi Inps che non danno diritto ad un’autonoma pensione? Vediamo la guida completa.

Il problema dei contributi versati all’Inps che non sono sufficienti a maturare alcun trattamento, meglio noti come contributi silenti, è una questione molto attuale e costantemente dibattuta: in poche parole, sono soldi nostri che l’Istituto incamera, senza darci indietro alcunché e senza nemmeno restituirci il capitale versato. Insomma, un “furto” legalizzato, che l’Ente giustifica col fatto che, se dovesse restituire quanto detenuto, andrebbe sicuramente in default.

Tuttavia, dei modi per recuperare quanto versato, in attesa di una normativa più equa, esistono: alcuni di essi comportano degli oneri in capo al lavoratore, altri no.

La ricongiunzione

Naturalmente, la prima modalità per recuperare gli anni di contributi consiste nel ricongiungerli alla gestione presso la quale matura la pensione: la ricongiunzione, tuttavia, è a titolo oneroso, e comporta degli esborsi piuttosto pesanti. I costi dell’operazione variano notevolmente a seconda dell’età e del sesso del richiedente, nonché del numero di anni da ricongiungere e della collocazione temporale dei periodi da recuperare. Non è consentita per la Gestione Separata.

La totalizzazione

Per recuperare i contributi silenti senza spese in capo al richiedente, si potrebbe allora utilizzare la totalizzazione, che è applicabile sia alla pensione di vecchiaia, che a quella d’anzianità (con requisiti differenti da quelli previsti dalla Legge Fornero): in questo caso, a meno che non si raggiunga il diritto ad un’autonoma pensione in una delle gestioni nella quale sono versati i contributi, il calcolo viene però effettuato col contributivo, in proporzione a quanto accreditato in ogni fondo o cassa.

Il cumulo, o totalizzazione retributiva

Questo è un nuovo istituto previsto dalla Legge di Stabilità 2013: è simile alla totalizzazione, ma permette di calcolare la quota di pensione maturata presso ciascuna gestione secondo le regole del fondo, e non obbligatoriamente col contributivo (saranno conteggiati con tale metodo, comunque, gli anni posteriori al 1996, per chi ha meno di 18 anni di contributi al 31.12.1995, nonché, per tutti, gli anni dal 2002 in poi). Tuttavia, il cumulo retributivo può essere utilizzato solo qualora non si maturi il trattamento di vecchiaia presso alcuna delle gestioni dove risultano versati i contributi; inoltre, non è consentito per la contribuzione accantonata presso le casse professionali e per la gestione separata.

Il cumulo per artigiani e commercianti.

In base ad una legge del 1990 [ Art.16, L. 233/90], è possibile unire la contribuzione versata alla Gestione Inps artigiani e commercianti, con quanto versato presso il fondo dei lavoratori dipendenti. Il trattamento si otterrà sommando le due quote, calcolate separatamente sui contributi da lavoro dipendente e su quelli da artigiano/commerciante.

La pensione supplementare

Si tratta di un istituto che si può utilizzare per recuperare la contribuzione Inps accreditata nell’AGO (assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti ) , quando essa non è sufficiente a perfezionare una pensione autonoma : essa può essere richiesta da chi risulti titolare di una pensione a carico di un Fondo che sostituisce, esclude o esonera dall’AGO . Le circolari Inps in materia escludono esplicitamente i titolari di trattamenti a carico di Casse e Fondi per liberi professionisti, nonché gli appartenenti alla gestione separata.

Il riscatto di periodi lavorativi non coperti da contribuzione

Il recupero di vecchi rapporti di lavoro scoperti, qualora esistenti, può essere utile per unirli ai contributi silenti, ed ottenere così un’autonoma pensione di vecchiaia. L’alternativa è valida soprattutto se i periodi si collocano prima del 31.12.1992 poiché, raggiungendo 15 anni di contribuzione ante 1993, si può ottenere la pensione di vecchiaia con la Deroga Amato (stanti i requisiti d’età previsti dalla Riforma Fornero). Sarebbe, però, necessario provare la sussistenza del rapporto di lavoro, presentandosi all’Inps con documenti di data certa riferibili ai periodi lavorativi: inoltre, se il vecchio datore si rifiutasse di versare la contribuzione mancante, spetta al contribuente il pagamento dell’onere di riscatto, salvo la possibilità di far causa alla ditta per il danno subito. Giudizio che, va da sé, non sarebbe né semplice, data la distanza di tempo intercorsa, né immediato, viste le lungaggini giudiziarie italiane.

Ricordiamo che la Deroga Amato si può applicare anche a chi ha 15 anni di contribuzione e 10 anni di lavoro discontinui.

Il riscatto del ciclo di studi

Lo stesso ragionamento fatto per il recupero degli anni di lavoro scoperti, ovvero lo scopo di ottenere un’ulteriore trattamento, grazie al raggruppamento con i contributi silenti, vale ovviamente, per ogni tipo di riscatto.

Per quanto concerne il recupero dei periodi di studi, oltre agli anni del corso di laurea, è possibile riscattare, dal 12.07.1997, per gli iscritti all’Inps, attare anche i corsi di studi universitari sotto indicati [D. L. 184/97]:

– Diploma universitario conseguito dopo un corso di durata tra 2 e 3 anni;

– Diploma di laurea conseguito dopo un corso almeno pari a 4 anni;

– Diploma di specializzazione conseguito dopo la laurea ed al termine di un corso di almeno 2 anni;

– Dottorato di ricerca.

 Pensione di vecchiaia con 5 anni di contribuzione

In pochi sanno che esiste la possibilità di ottenere il trattamento di vecchiaia con oltre 70 anni d’età e 5 anni di contributi: detta facoltà, però, è riservata a quei lavoratori il cui primo contributo versato risulti posteriore al 01.01.1996, per i quali la liquidazione è effettuata col solo sistema contributivo.

SENTENZE CASSAZIONE

“Sono più intelligente di te” non è ingiuria: è una frase che può ferire l’orgoglio ma non certo l’onore (di Marina Crisafi)

fonte: studiocataldi.it

Certo non è piacevole sentirsi dire da qualcuno che è più intelligente di noi, ma sicuramente non ci viene in mente di trascinarlo in giudizio per contestargli la lesione del nostro onore personale e professionale. Invece, è ciò che ha fatto un uomo nei confronti del proprio “avversario” a seguito di uno scontro verbale in cui si era sentito dire “Io sono più intelligente di te” e “Non finisce qui … ti aspetto fuori”.

Ma cosa ancor più sorprendente, l’esito dei primi due gradi di giudizio (giudice di pace prima e tribunale poi) gli ha dato ragione, ritenendo le frasi proferite dall’imputato tali da offendere e minacciare la persona cui erano state rivolte con conseguente condanna alla pena di 440 euro di multa e al risarcimento di 1.000 euro di danni per i reati di cui agli artt. 612, comma 1 e 594 c.p.

L’”offensore”, ovviamente, non ci sta e si rivolge alla Cassazione per sentir dichiarare priva di fondamento ogni accusa.

Per fortuna, gli Ermellini ribaltano le valutazioni dei giudici di merito.

Quanto al reato di ingiuria, si legge nella sentenza n. 25517 della quinta sezione penale, pubblicata oggi, è illogica l’affermazione di responsabilità basata sulla natura offensiva dell’onore personale e professionale della p.o. delle espressioni pronunciate dall’imputato, “a motivo del carattere neutro, e comunque penalmente irrilevante, dell’espressione ‘Sono più intelligente di te’”.

Alle stesse conclusioni, circa la mancata rilevanza penale delle parole pronunciate dall’imputato, perviene la Corte anche con riferimento all’impugnazione ex art. 612 c.p.: la frase “Non finisce qui, ti querelo… quando smonto dal servizio ti aspetto fuori”, a differenza di quanto ritenuto dal giudice d’appello, non può avere carattere minatorio, dato che per la sua sostanziale genericità non si caratterizza “per la prospettazione di un concreto male futuro il cui avverarsi dipenda dalla volontà dell’agente”.

Tale espressione, infatti, ha proseguito la S.c., non può ritenersi “di per sé e non accompagnata da altri significativi comportamenti, idonea ad incutere timore nel soggetto passivo proprio per l’assenza di prospettazione di un qualunque male ingiusto non deducibile neanche dalla situazione contingente”.

In definitiva, dunque, non vi sono dubbi sull’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio “per insussistenza dei fatti”.

SENTENZE – INDENNITÀ PER FERIE NON GODUTE

Quando spetta l’indennità per ferie non godute? (Redazione PA 24)

Fonte: ilsole24ore.com

Rapporto di lavoro – Dirigente – Diritto ad attribuirsi le ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro – Omesso esercizio del diritto ed inconfigurabilità del diritto del dirigente a percepire l’indennità sostitutiva

Il dirigente, che ha il potere di attribuirsi le ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, ove non eserciti tale potere e non usufruisca dei relativi periodi di riposo, non ha il diritto all’indennità sostitutiva a meno che non provi necessità aziendali eccezionali ed obiettive che ne hanno impedito la fruizione.
Tribunale Firenze, sez. Lavoro, sentenza 20 gennaio 2015 n. 60

Pubblico impiego – Ferie – Mancato godimento – Indennità sostitutiva – Spettanza – Condizioni
Nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l’interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore.
Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 febbraio 2014, n. 4855

Lavoro – Lavoro subordinato – Periodo di riposo – Ferie annuali – Lavoro pubblico privatizzato – Dirigenti – Fruizione delle ferie – Scelta del momento – Condizioni e limiti – Fattispecie relativa a collocamento forzoso in ferie del dirigente

In tema di pubblico impiego privatizzato, il principio generale di settore, secondo il quale le ferie si fruiscono nell’anno o, al più tardi, per esigenze di servizio, entro il primo semestre dell’anno successivo e, in caso di forza maggiore, anche nel successivo semestre, restandone invece esclusa la fruizione in periodo diverso, si applica anche ai dirigenti, con la conseguenza che il potere di attribuirsi le ferie senza ingerenze del datore di lavoro deve essere esercitato, dai dirigenti stessi, entro i suddetti limiti temporali (nella specie, la Suprema corte, enunciando l’anzidetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la legittimità del provvedimento con cui un’amministrazione locale aveva forzosamente collocato in ferie un proprio dirigente, il quale pretendeva di procrastinare il momento di godimento delle ferie in epoca di molto successiva a quella dell’anno di riferimento).

Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo 2009, n. 6228

Ferie – Indennità sostitutiva – Diritto alla relativa corresponsione in favore del dirigente con posizione apicale che non abbia esercitato il potere di collocarsi in ferie – Spettanza – Presupposti e limiti – Individuazione

Il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca quindi del periodo di riposo annuale, non ha il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive ostative alla suddetta fruizione.

Ferie – Indennità sostitutiva – Diritto alla relativa corresponsione in favore del dirigente con posizione apicale che non abbia esercitato il potere di collocarsi in ferie – Spettanza – Presupposti e limiti – Individuazione

Non spetta l’eccezionale istituto dell’indennità per ferie non godute a chi, rivestendo una funzione di vertice nell’organizzazione dell’impresa, non eserciti l’autonomo potere di collocarsi in ferie disponendo del tempo di godimento del riposo annuale in modo indipendente, ovvero senza possibilità d’interferenza datoriale, salva la prova di straordinarie esigenze aziendali che ne abbiano impedito il godimento stesso.
Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 giugno 2005, n. 11786

Ferie non godute per malattia – Diritto a un’indennità sostitutiva

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 20 gennaio 2009 pronunciata nei procedimenti riuniti C-350 e C-520/06, ha ritenuto che l’articolo 7 della direttiva (88/2003) deve essere interpretato in un senso che osta a disposizioni o prassi nazionali le quali escludano il diritto a un’indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute del lavoratore che sia stato in congedo per malattia per l’intera durata o per una parte del periodo di riferimento.

Ferie – Mancata fruizione – Indennità sostitutiva – Spettanza

In relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall’articolo 36 della Costituzione, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che, oltre a poter avere carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita del bene, al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato, per altro verso costituisce una erogazione di natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato.
Ferie – Mancata fruizione – Disposizioni contrattuali che escludano l’indennità sostitutiva – Illegittimità
Ne consegue l’illegittimità, per il loro contrasto con norme imperative, delle disposizioni di contratti collettivi che escludano il diritto del lavoratore all’equivalente economico di periodi di ferie non goduti al momento della risoluzione del rapporto, salva l’ipotesi del lavoratore che abbia disattesa la specifica offerta della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro.

Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 luglio 2012, n. 11462

Rapporto di lavoro – Ferie – Indennità sostitutiva delle ferie non godute – Diritto – Sussistenza – Natura giuridica – Individuazione

L’indennità sostitutiva delle ferie non fruite ha natura mista, avendo non solo carattere risarcitorio, in quanto volta a compensare il danno derivante dalla perdita di un bene determinato (il riposo, con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e social), ma anche retributivo, in quanto è connessa al sinallagma contrattuale e costituisce il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito avrebbe dovuto essere non lavorato, in quanto destinato al godimento delle ferie annuali. Ne consegue l’inclusione dell’indennità nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto.
Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 settembre 2013, n. 20836

SENTENZE CASSAZIONE – ISTANZA DI ACCESSO

L’istanza di acceso del difensore deve poter essere imputabile all’assistito (di Tiziana Krasna)

Fonte: ilsole24ore.com

Con la sentenza n. 849 dell’11.6.2015, la Sezione II del Tar Sardegna ha chiarito che il funzionario che riceve la richiesta di ostensione deve essere posto in condizioni di poter accertare con sicurezza l’imputazione della stessa al fine di poter verificare la sussistenza dell’interesse all’ostensione; pertanto l’istanza deve provenire dal diretto interessato o da soggetto che possa spenderne il nome. In caso contrario, ossia di istanza di accesso proveniente come nella specie da difensore senza mandato, egli dovrebbe porre in essere l’attività necessaria per consentire l’accesso, attraverso il rilascio dei documenti o tramite le pubblicazioni sul sito dell’Amministrazione, anche nelle ipotesi di assenza di ratifica dell’attività posta in essere (richiesta di accesso) senza mandato dal difensore ed anche nelle ipotesi in cui l’interesse all’ostensione da parte del rappresentato si rivelasse poi inesistente.

Il principio di diritto

Pertanto nel caso in cui l’istanza di accesso sia formulata dal difensore è necessario che la stessa o sia sottoscritta anche dal diretto interessato, e in tal caso allo stesso se ne imputa la provenienza, ovvero che l’istanza sia accompagnata dal mandato al difensore, che acquisisce in tal modo il potere di avanzare la stessa in luogo dell’interessato, mentre in mancanza di sottoscrizione congiunta o di atto procuratorio l’istanza deve considerarsi inammissibile e con essa il ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione (CdS, sez. V, 30 settembre 2013, n°4839 ; CdS, Sez. V, 5 settembre 2006, n. 5116; Tar Campania, Napoli, sez. V, 9 marzo 2009, n. 1331; Tar Lazio, sez. III, 2 luglio 2008, n. 6365; Tar Latina Lazio, Sez. I, 13 novembre 2007; Tar Napoli, Sez. V, 24 novembre 2008, n. 19980).

Nell’ambito del riferito orientamento giurisprudenziale rientra anche la sentenza della III sezione del Consiglio di Stato n. 4844 del 26 settembre 2014, con la quale è stata ritenuta ammissibile l’istanza presentata dal solo difensore che però in precedenza aveva ottenuto una procura dall’interessato con facoltà di rappresentare e difendere “in ogni stato e grado del procedimento” anche di mediazione, perché ciò “implica la ratifica della diffida ad adempiere e dell’istanza di accesso, atti negoziali propedeutici alla difesa, compiuti in nome e per conto della parte dal difensore, a nulla rilevando che il procedimento di mediazione non sia attivabile o attivato, ma essendo quell’attività extragiudiziale compiuta nel chiaro intento di tutelare gli interessi dell’assistito”. In sostanza nella fattispecie all’esame del Consiglio di Stato la procura era stata in precedenza rilasciata per gestire un affare di interesse del ricorrente, nella gestione del quale il giudice di Appello ha ritenuto compresa la facoltà di presentare richiesta di conclusione di un procedimento e quindi anche la possibilità di presentare un’istanza di accesso.

Il caso

Nella specie, un legale avanzata istanza di accesso senza allegare alla stessa il mandato o la procura dell’interessato, in nome e per conto del quale dichiarava di agire.

Argomenti, spunti e considerazioni

La decisione del Tar Sardegna persuade.

Non v’è dubbio che il funzionario che riceve la richiesta di ostensione deve poter accertare con sicurezza l’imputazione della stessa per poterne verificare la sussistenza dell’interesse; l’istanza, pertanto, deve provenire dal diretto interessato o da soggetto che possa spenderne il nome. Nell’interesse primariamente di quest’ultimo, ma anche di quello del buon andamento della Pa, che spinge a considerare improcedibili – onde evitare l’inutile attivazione della macchina amministrativa – istanze non sorrette da interessi apprezzabili o, come nella specie, da alcun titolo legittimante.

By TH